La candidate experience raccontata (bene) da chi l’ha vissuta

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Spesso, quando si conclude un assessment svoltosi mediante uno dei nostri tool, chiediamo dei feedback ai candidati. Ci interessa la loro esperienza, perché è su queste percezioni (ma non solo) che miglioriamo l’experience dei nostri prodotti. Alcuni sono così timidi che non ne ricavi una parola nemmeno a cavargliela con le tenaglie. Ma poi gli dai la tua mail (sperando che alle volte, chissà…) e la sera stessa ti arriva un fiume di battute che manco nei flussi di coscienza di James Joyce. Sono i commenti più utili, per noi, perché offrono prospettive personali profonde. E tante volte sono così gratificanti che il giorno dopo, in ufficio, è tutto un pat-pat di pacche sulle spalle con sbrilluccichio di occhi umidi.

 
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Stavolta, invece di tenere tutto per noi, abbiamo deciso di condividere uno di questi feedback. Pensiamo che possa essere utile a chi vuole conoscere il valore aggiunto (solo uno? No, vedrai) che i business game utilizzati in attività di assessment offrono alle aziende che affrontano la fase di valutazione delle risorse umane.

Per rispetto della privacy e correttezza nei confronti dei nostri clienti, non possiamo rendere noto né il nome dell’azienda che ha svolto l’assessment né quello dell’autore del commento. In ogni caso, entrambi ci hanno autorizzato a pubblicarlo in forma anonima.

La nostra domanda era semplice: allora, com’è andata? Ti va di raccontarci se c’è qualche aspetto di questa esperienza che ti ha colpito particolarmente e cosa porti a casa dopo averla vissuta?

E lui…

È stato fuori dal comune. In tutte le prove di assessment a cui ho partecipato nell’ultimo anno non mi era mai capitata una cosa simile. Coinvolgente. Ecco, è la parola giusta per descrivere questa esperienza, se la si considera in tutte le sue accezioni. In quell’ora di gioco mi è sembrato davvero di far parte del team aziendale. Abbiamo simulato un intero semestre in una sola ora, è stato pazzesco. È capitato di tutto ma era realistico. Insomma, non è stato come quando ti senti sotto esame, con i capi che ti osservano e giudicano quello che dici, come lo dici, come muovi il corpo mentre rispondi alle loro domande, ecc. E da quello che mi è sembrato, credo che anche per gli altri candidati sia stato lo stesso. Eravamo totalmente immersi nel lavoro.

Quando è iniziata ero un po’ disorientato. Eravamo tutti in questa sala, con i nostri portatili e il facilitatore che ci spiegava cosa ci apprestavamo a fare. Ci lanciavamo occhiate perplesse tra vicini di banco. A essere onesto si respirava un po’ di scetticismo. Poi il gioco è iniziato ed è scattato qualcosa di magico. All’inizio ho dovuto un po’ prendere le misure con la dashboard. Non nascondo che ero un po’ ansioso perché, ripeto, era una cosa nuova, per me. Ricordo di aver letto il briefing alla velocità della luce, per ottimizzare i tempi. E alla fine non ci avevo capito niente e sono dovuto tornare indietro e rileggerlo con calma. Ma appena presa confidenza con la dashboard, sono entrato nel flusso.

Ciò che mi ha sorpreso sono state le dinamiche umane che si sono innescate. Ovviamente sapevamo di essere tutti competizione e sono sicuro che ognuno abbia dato il meglio di sé per emergere. Eppure, ci siamo supportati a vicenda, come un vero team, collaborando per raggiungere gli obiettivi aziendali. Quello che voglio dire è la competizione era sana. Ed era molto stimolante osservare come ognuno di noi offrisse un contributo diverso e personale alla soluzione di un problema comune. E lo era altrettanto il dover stabilire insieme quale scelta fosse opportuno fare.

Se ci penso a mente fredda, posso dire di aver notato che ognuno di noi aveva attitudini diverse e uniche. E se l’ho notato io, sono sicuro che l’abbiano fatto anche i recruiter. E con questo non sto dicendo che mi sentivo gli sguardi addosso e il fiato sul collo. Tutt’altro. Non so se nei classici colloqui di lavoro, gli HR riescano a percepire tutte queste sfumature. Secondo me, durante quelle interviste cerchiamo di sembrare dei fenomeni e sono pronto a scommettere che usiamo più o meno tutti le stesse parole. Parole, appunto, poi vai a capire chi lo è davvero, un fenomeno.

Comunque sia, si capiva che alcuni di noi erano molto abili nel prendere decisioni rapidamente. Mentre altri erano particolarmente forti nella comunicazione e nella gestione del team. Per quanto mi riguarda, ho scoperto di avere una dote che non credevo mi appartenesse: ho scoperto di essere capace di tornare sui miei passi. Sarà stato il tempo che stringeva o il feeling che era nato tra noi, magari tutte e due le cose, non lo so dire. Fatto sta che, per la prima volta, ho fatto pace col concetto che il mio punto di vista non è per forza condivisibile né necessariamente quello che offre la prospettiva più ampia.

È superfluo dire che da questo momento in poi il gioco si è fatto ancora più interessante. E ho potuto leggere la stessa sensazione nell’atteggiamento di almeno la metà di noi. Si trattava di una simulazione e, per quanto realistica, non credo che nessuno dei candidati si sia posto chissà quali limiti nell’esprimere il proprio potenziale per paura di far danni o far brutta figura. Quanto meno io ho dato il massimo e, a prescindere di come sarà valutata la mia performance, sono soddisfatto di com’è andata. Finalmente posso dirlo.

È ovvio che vorrei ricevere la telefonata con la bella notizia. Ma se il telefono non dovesse squillare, credo comunque di portare a casa qualcosa, perché è stata una fantastica esperienza formativa. Partecipare a un assessment di questo tipo è stato un banco di prova dove testare le mie abilità e ritrovare la motivazione per continuare a migliorarmi e a spingere lontano la mia carriera.

E poi c’è un’altra cosa. Quando prima dicevo che tra noi candidati era scattata una scintilla era vero. Dopo la prova, siamo andati a pranzare insieme. Non eravamo tutti, ma comunque un bel gruppetto e, a tavola, abbiamo avuto la conferma che quelle affinità percepite durante il gioco non erano simulate. Ci manterremo sicuramente in contatto. Due a zero per noi, insomma.

Ora, salvo eccezioni, le regole del copywriting prescrivono di terminare ogni post con una chiusa che completi e valorizzi quanto detto sopra. Ma cosa puoi aggiungere a un commento così?