GLI ORMONI DEL TALENTO - Biochimica della gamification

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Anche tu, in tenera età, smontavi le cose per capire come funzionavano? Noi lo facciamo ancora adesso… Stavolta abbiamo aperto una testa – ehi, metaforicamente – per vedere cosa avviene nel cervello, quando si partecipa ad attività ludiche.

 
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E allora, sigla di Quark (Bach, perdonaci, ma anche noi siamo figli della cultura pop) e avviamoci in una illuminante passeggiata tra le pieghe della materia grigia. Il cervello in questione è quello di un candidato che, nel corso di un assessment aziendale, viene messo alla prova con uno dei nostri simulation game.   

L’abbiamo detto tante volte, ma fa bene ripeterlo. Ricorrere alla gamification in ambito professionale e formativo è un approccio che valorizza efficacemente l’espressione del talento e ne facilita l’individuazione e la valutazione. Ciò avviene per diverse ragioni legate sia alla psicologia umana sia alla biochimica del nostro cervello. Cioè il gioco è così efficace perché siamo biologicamente fatti per giocare. È proprio questo l’aspetto che oggi ci interessa. 

La scienza ha provato che quando facciamo qualcosa, nel nostro caso quando giochiamo, nel cervello si attivano processi biochimici e neurologici. Senza scomodare il lessico scientifico, i processi biochimici sono reazioni che avvengono all’interno delle cellule viventi e influenzano il modo in cui percepiamo quello che avviene intorno a noi e come ciò ci fa sentire. Sono, per usare una similitudine informatica, il back end dell’esperienza. In parole povere, il cervello riceve uno stimolo e secerne delle sostanze – ormoni o neurotrasmettitori (a seconda del contesto del loro rilascio) – che provocano una risposta emotiva automatica. Più lo stimolo è intenso, più la risposta è significativa. 

Se improvvisamente hai perso un po’ di fiducia nelle tue potenzialità di superuomo nietzschiano, è comprensibile. Ma ricorda che anche Nietzsche era figlio di Madre Natura e, con buona pace del suo ego, non poteva sfuggire ai propri neurotrasmettitori. 

E detto questo, vediamo in pratica quali sono i principali quattro ormoni che il cervello produce durante l’attività ludica e perché incrementano l’engagement, la motivazione, la memorizzazione e l’apprendimento.

1) Dopamina, il “premio”
È il bacio in fronte che ci appaga quando raggiungiamo obiettivi o superiamo sfide. Quando viene rilasciata ci sentiamo bene e motivati. E siccome du gust is megl che uàn, continuiamo a giocare, impegnandoci di più, per averne ancora e di più. Stessa cosa che ci accade quando danno pollici in su e cuoricini ai nostri post sui social media. Questo meccanismo biochimico spiega perché i nostri game mantengono alta l’attenzione e l’engagement.

2) Endorfine, gli antistress naturali
Queste sostanze aiutano a migliorare il benessere generale quando siamo sotto pressione. Sono responsabili della sensazione di euforia che proviamo quando giochiamo intensamente ma divertendoci. Hai presente quando, dopo un allenamento devastante in palestra, ti senti una Pasqua nonostante i muscoli frollati che nemmeno i quarti di bovino in Rocky? Merito delle endorfine. Questo effetto, nel contesto dei nostri game, riduce l’ansia legata alla valutazione e incoraggia una partecipazione più spontanea e autentica.

3) Noradrenalina, la “bomba” di concentrazione
Viene rilasciata in situazioni di sfida o eccitazione. Agisce aumentando l’attenzione, la concentrazione e la prontezza, permettendoci di affrontare al meglio le situazioni complesse. Una volta in circolo, esiste solo ciò che dobbiamo fare e tutto il resto scompare. L’effetto è come indossare un paio di lenti selettive, che consentano di mettere a fuoco una cosa per volta. Durante un assessment o nella formazione, questa focalizzazione aiuta i partecipanti a immergersi completamente nelle simulazioni, migliorando sia la performance sia l’apprendimento.

4) Ossitocina, il “collante” sociale
Spesso viene nominata ormone dell’attaccamento, perché incentiva fiducia e legami. In contesti di gruppo, come nei giochi di squadra o nei business game collaborativi, le attività condivise possono stimolarne la produzione. Quando succede, si rafforza il senso di appartenenza e migliora la cooperazione. È un po’ come quando chiami gli amici per traslocare. Magari alla fine dovrai pagare la fisioterapia per tutti, ma quell’esperienza vi avrà avvicinati gli uni agli altri. A prescindere da quanta roba rotta tirerai fuori dagli scatoloni. 

Ecco, in sintesi, ciò che avviene nel nostro cervello quando giochiamo. Questo rapido sconfinamento nella biologia ci è servito per spiegare scientificamente perché la gamification è un approccio così efficace e sempre più adottato dalle imprese per condurre assessment e fare formazione. Il bello è che dietro non c’è niente di straordinario. Si tratta solo di scegliere un approccio “naturale”, cioè che asseconda i meccanismi della nostra biologia. Straordinari, invece, sono gli effetti che si ottengono, se paragonati a quelli dei metodi classici. Perché esperienze gratificanti, meno stressanti, più focalizzate e coinvolgenti migliorano l’individuazione e la valutazione del talento oltre che l’apprendimento e la memorizzazione. Risultati che, ogni giorno, ci confermano che progettare strumenti di gamification per la dimensione professionale e formativa è la scelta giusta per noi.