5 ottime ragioni per “gamificare” i processi formativi

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Facciamo che io sono il direttore delle risorse umane e tu il responsabile dell’area formazione e sviluppo? Ok, da piccoli non giocavamo proprio così, ma comunque immaginavamo di calarci nei panni dei personaggi delle nostre storie preferite per vivere le loro avventure. Oppure imitavamo i grandi, facendo finta di districarci tra piccoli, grandi problemi di gestione famigliare o professionali.

 
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I bambini giocano perché gli viene naturale. L’hanno sempre fatto e sempre lo faranno. A meno che non inventino un sistema alla Matrix per scaricare librerie esperienziali direttamente nel cervello. Ma per il momento – e speriamo che resti così – devono giocare per crescere.
Ora, non è che da adulti ne perdiamo la capacità. Tanto meno il gioco perde efficacia dopo una certa età o in ambiti diversi da quelli strettamente legati allo sviluppo delle abilità fisiche e sociali. Una voce si leva dal fondo: “ma gli adulti sono già cresciuti…”. Beh, semplicemente da grandi il gioco risponde ad esigenze differenti. Ma limitandoci al piano della crescita, da adulti possiamo giocare per incrementare le nostre capacità. Diciamo “possiamo” perché a un certo punto della vita diventa una scelta. E in questo spazio vogliamo fornire argomenti per dimostrare che è la scelta giusta. Nel campo della formazione, infatti, la gamification è il metodo migliore per coltivare e rinvigorire talenti. E lo è sotto diversi aspetti. Soffermiamoci sui primi cinque.

Uno. Forse non è proprio la prima cosa che ti viene in mente, ma per come la vediamo noi dovrebbe esserlo, perciò la mettiamo in cima: il gioco è un’esperienza che permette di esplorare, quindi di scoprire (conoscere). L’esplorazione è uno dei pilastri dell’attività ludica, senza il quale sarebbe difficile entrare in contatto con il nuovo e di conseguenza attivare quella capacità di adattamento a contesti e situazioni che prelude all’evoluzione. Rimanere all’interno dei confini della propria esperienza – leggi restare rannicchiati nella propria comfort zone – preclude ogni possibilità di crescita professionale.

Due. Diciamolo subito, quella fantomatica “prima cosa” che a molti verrebbe in mente parlando di gioco non è neanche al secondo posto. Spoiler, la leggerai per ultima. Così evitiamo di ripetere la commedia a ogni paragrafo. Dopo aver parlato di esplorazione, è quanto meno logico dire che il gioco ammette la sperimentazione, il che significa che offre occasioni per mettersi alla prova. Se osservi da un altra prospettiva, giocando ci si imbatte in ostacoli che, per poter “vincere la partita”, bisogna affrontare e superare. Cosa ti suggerisce tutto questo? Esatto: problem solving. Chi gioca mette in moto la creatività e sviluppa o allena il pensiero critico e la capacità di risoluzione delle criticità.

Tre. I problemi sono cafoni e non vengono mai da soli, si sa. Ma la cosa più antipatica è che vengono senza avvisare. Per questo nel gioco è indispensabile allenare i riflessi e assumere una mentalità flessibile, meglio ancora se elastica. Sono queste le skill che permettono di cavarsela velocemente e con successo in situazioni impreviste e magari non codificate. È un po’ come avere la dispensa sempre ben fornita e un ricettario versatile, in modo da poter ricevere ospiti in ogni momento e farli sentire a loro agio anche se hanno palati difficili.

Quattro. I solitari non sono male, ma vuoi paragonarli alle attività di gruppo? Da bravi animali social(i), tendiamo a preferirle. Nel gioco diamo il meglio di noi in termini di interazioni con gli altri. Ciò significa che gamificare uno scenario lavorativo stimola gli ormoni (si fa per dire) della cooperazione, della comunicazione e della leadership. Nei contesti ludici operiamo senza filtri ed è lì, per esempio, che si vede chi è in grado di guidare un gruppo, di tenerlo unito e di favorire la collaborazione. Inoltre, in quelle situazioni, ogni giocatore tende ad assumere senza forzature il ruolo più congruente alle proprie inclinazioni, cioè fa quello che gli viene naturale fare. Nel gioco, insomma, possiamo capire davvero chi abbiamo di fronte.

Cinque. Ci siamo. Il gioco è per definizione motivante e divertente, il che può aumentare l'interesse verso l’apprendimento e, di conseguenza, l’impegno che decidiamo di metterci. Più o meno è questo l’aspetto che prevale (del resto, non è la prima cosa che ti è venuta in mente?) ma, bada, la sua importanza non riguarda lo spasso. Rimanendo in ambito professionale, quello ludico è un contesto simulato per lo più incondizionato, cioè tendenzialmente privo delle pressioni e delle interferenze presenti nella “dimensione reale”. È un ambiente sicuro in cui possiamo essere noi stessi e fare delle scelte senza preoccuparci delle conseguenze che ne deriveranno. Tanto non possiamo fare danni né a noi stessi, né agli altri o né all’azienda.

Concludendo in parole povere, giocare è il modo più efficace per imparare cose o imparare a fare cose. Lo è per i cinque motivi elencati. Ma soprattutto per un sesto motivo, che riportiamo alla fine, come bonus, perché è la ciliegina candita che rende il cocktail speciale: è il modo più facile per fare cose difficili, come la formazione aziendale. Non trovi che sia un magnifico ossimoro?