Nessuno di noi è stato testimone di quel momento. Nessun racconto è giunto fino a noi, se non come eco sfocata, ma ciò che sappiamo oggi per via della scienza ci offre un’altra possibilità di lettura. Immaginate, allora, che nel medesimo istante in cui l’uomo prende forma dalla polvere della terra, accadeva lo stesso per la donna. Non da una costola, né da una parte dell’uomo, ma dalla stessa sostanza originaria, creata per essere parte del tutto, complementare nel suo essere altro ma uguale.
Non c’era una sequenza, una superiorità. C’era una simultaneità, un legame primordiale. C’era il pensiero, il movimento, l’essere, creati insieme, come due facce della stessa moneta. La donna non derivava l’uomo, così come l’uomo non derivava la donna. Si completavano, come il giorno e la notte, come il cielo e la terra, come il pensiero e l’azione.
Eppure, con il passare del tempo, il ricordo di questa genesi è stato oscurato, annientato da racconti che hanno preferito spiegare l’origine di ciò che vediamo con il linguaggio della divisione, piuttosto che della sintesi.
Il gender gap nella leadership nel 2025
L’uomo è nato per guidare, e ha il fisico e l’indole adatti a farlo. La leadership è sempre stata la sua natura: un uomo con visione, decisione, autorità è la definizione stessa di successo. Questo è ciò che la storia ci ha raccontato e, se guardiamo ai numeri del 2025, non sembrano esserci molte prove del contrario. Il LinkedIn Global Gender Gap Report 2025 ci dice che solo poco più del 30% delle posizioni di leadership sono occupate da donne, nonostante costituiscano ormai la metà della forza lavoro globale. E non è un caso. Le barriere culturali, sociali e strutturali continuano a limitare le opportunità di crescita delle donne, impedendo loro di accedere ai vertici.
Ma dove sta scritto che la leadership è un dominio maschile? Perché non dovrebbero essere le donne a guidare, se possiedono le stesse (se non superiori, ne parliamo dopo) capacità di pensiero strategico, risoluzione di problemi e visione complessa?
Eppure, il dato del 2025 ci dice qualcosa di diverso. È ora di rivedere il paradigma. Non esiste alcun handicap cognitivo o biologico che giustifichi questa disparità.
Non esiste un handicap biologico
Nel corso del XX secolo, uno dei dibattiti più tendenziosi che serpeggiava nei “salotti buoni” della comunità scientifica riguardava la presunta superiorità biologica degli uomini nei ruoli di leadership. Spesso era giustificata con teorie che attribuivano agli ormoni maschili (come il testosterone) un’influenza diretta sulla capacità decisionale e sulla leadership. Si sosteneva che, grazie a una predisposizione genetica e biologica, l’uomo fosse naturalmente più adatto a ruoli di comando e a decisioni ad alto rischio.
Le neuroscienze contemporanee, invece, hanno smentito l’idea che esista una differenza biologica innata che renda l’uomo più adatto alla leadership. Studi approfonditi hanno dimostrato che uomini e donne sono ugualmente abili nell’esercitare capacità cognitive avanzate, tra cui l’analisi strategica, la risoluzione di problemi complessi e la leadership collettiva.
Anzi, in molti casi, le donne mostrano una maggiore capacità di pensiero multidimensionale, empatia e gestione delle emozioni. Tutte qualità che sono ormai fondamentali per la leadership moderna. Le neuroscienze hanno anche dimostrato che le differenze cerebrali tra uomini e donne, sebbene esistenti, non influenzano significativamente la capacità decisionale o il potenziale di leadership. In effetti, sono proprio le qualità relazionali e comunicative delle donne a renderle particolarmente adatte a gestire team interconnessi e a navigare in contesti complessi.
In altre parole, l’efficacia della leadership non dipende da una differenza biologica, ma dalla capacità di connettere le persone, guidare con visione e gestire in modo inclusivo. Le neuroscienze, dunque, confermano che il gender gap nella leadership non è biologicamente determinato, ma è il risultato di barriere culturali, organizzative e sociali che hanno impedito alle donne di raggiungere posizioni apicali.
Le cause strutturali del problema
Il gender gap, dunque, è qualcosa di sovrannaturale. Nel senso che esiste nonostante non dovrebbe. È uno spettro che infesta le organizzazioni, alimentandosi di pregiudizi strutturali e culturali che ne rinforzano la presenza e rendono sempre più pesanti e rumorose le catene che ostacolano la promozione delle donne nei ruoli apicali. Le sue ombre più insidiose sono principalmente tre:
Barriere culturali e bias impliciti. Questi pregiudizi radicati sono alla base di un ciclo vizioso che si auto-alimenta. I bias impliciti spesso riducono la visibilità e l’autorevolezza delle donne, specialmente in ambienti dominati da uomini. Ma c’è di più: quando i leader si basano su stereotipi, le donne vengono continuamente sottovalutate, portandole a rimanere ai margini. Ciò crea una realtà distorta, dove le donne si vedono come “meno preparate” per ruoli di vertice, rinforzando l’idea di partenza sulla superiorità maschile.
Accesso limitato a opportunità di sviluppo. Le reti di mentoring che gli uomini creano spontaneamente e dominano sono spesso inaccessibili per le donne. In parte perché sono sottorappresentate nelle posizioni senior. E in parte perché, come dicevamo prima, i potenti bias che causano mancanza di fiducia nelle loro stesse competenze e timore di essere considerate inadeguate, le spingono ad autoescludersi dalle opportunità di crescita. La mancanza di una “sponsorizzazione” attiva da parte dei leader maschili le lascia vulnerabili e intrappolate nella percezione della difficoltà, rallentando la loro carriera.
Politiche aziendali inadeguate. Quali sono le esigenze delle donne? Attenzione alla domanda, le manager non chiedono favori ma opportunità concrete per competere ad armi pari. Spesso, però, le politiche aziendali non offrono loro gli strumenti necessari per bilanciare lavoro e vita privata. Una necessità che va ben oltre il comfort. L’accesso alla flessibilità lavorativa, la parità salariale e politiche che promuovano la salute mentale e la cura familiare non sono opzioni. Sono necessità sacrosante e inviolabili, che ogni donna in carriera ha il diritto di ricevere per essere valorizzata pienamente nel proprio ruolo. La difficoltà di gestire famiglia e carriera, ad esempio, non è una limitazione femminile ma un difetto di un sistema organizzativo incapace di adattarsi alle esigenze moderne.
Strumenti per abbattere gli stereotipi
Sì, lo sappiamo, tutti parlano di inclusività ed equità. Non siamo certo noi quelli che possono proporre soluzioni definitive. Ma a volte il cambiamento non sta tanto nella scoperta di una nuova formula magica, quanto nell’utilizzare al meglio gli strumenti che abbiamo già a disposizione per avvicinarci al cambiamento. Quanto meno innescarlo o favorirlo.
La diversità di genere è un tema che – basta, davvero – oggi è un’assurdità doverne ancora parlare. Le aziende che non lo affrontano stanno perdendo opportunità fondamentali per crescere e innovare. Detto questo, parlare di soluzioni richiede di fare i conti con una realtà in cui il cambiamento non può essere un colpo di fortuna, ma un percorso strutturato.
Ma parliamo di ciò che conosciamo. Strumenti pratici per instaurare e consolidare un mindset orientato alla parità di genere ci sono. Sia chiaro, la nostra intenzione non è dare lezioni ma offrire un contributo in base a ciò che sappiamo fare. Le simulazioni immersive (come i nostri Skill Mosaico, Business Game e Web InBasket) hanno il pregio di essere strumenti che, mentre allenano la leadership, sono perfetti sia per valutare il talento schivando i bias sia per rilevare negli altri la capacità di agire senza pregiudizi. Quegli “altri” (al maschile solo perché la lingua italiana, al momento, funziona così) che meritano di guidare un team, a prescindere dalla quantità di X nel corredo cromosomico. Dato che le teorie ormai le conosciamo tutti, forse è il caso di cominciare a mettere in pratica ciò che sappiamo.
Uomo e donna: due facce della stessa moneta
Se solo abbandonassimo le vecchie storie e guardassimo con occhi nuovi, vedremmo che ogni differenza tra i sessi non è una barriera, ma una componente che arricchisce la leadership nel suo insieme. Il momento di riconoscere questa simmetria è adesso. Si è parlato di superiorità, di linee tracciate, di gerarchie che non hanno mai avuto alcuna base se non quella delle nostre interpretazioni. Perché, è così, uomo e donna sono due entità uguali nel valore, dotate di forza complementare. Non c’è differenza significativa. C’è complementarità.
E così, le peculiarità che vediamo – fisiche, psicologiche, comportamentali – sono solo sfumature di una stessa essenza. Un’equazione che non fa distinzioni tra il valore dell’uno e dell’altra. Uomo e donna non sono opposti, sono il medesimo concetto che ha preso forma su piani diversi. E allora è il momento di capire e ammettere che, se di differenze si vuol parlare, si tratta di elementi che, accostati, restituiscono simmetria dove per troppo tempo c’è stata asimmetria.